Nel giro di pochi mesi l’Intelligenza Artificiale Generativa è passata da promessa tecnologica a leva concreta di trasformazione. In azienda, però, l’adozione non corre alla stessa velocità: i progetti nascono, ma spesso senza un framework chiaro di governance, senza criteri di valutazione del ROI e senza una visione di lungo periodo. È qui che emerge il vero gap: quello manageriale.
Secondo il World Economic Forum, entro il 2027 il 44% delle competenze lavorative sarà soggetto a cambiamenti profondi, con il 60% delle aziende che individua nell’upskilling in AI una priorità strategica. Ma quanti dirigenti sono oggi realmente preparati a guidare team e processi in questo scenario, in un contesto internazionale dove l’AI è già un fattore competitivo decisivo?
Dal prompt alla strategia: i nuovi terreni di competenza
Se un tempo bastava comprendere le dinamiche di mercato, oggi un manager deve saper interpretare e governare modelli linguistici, dati proprietari, metriche in evoluzione. La SEO, per esempio, sta subendo la rivoluzione delle nuove funzionalità di ricerca basate sull’AI: tra AI Overviews e AI Mode, i contenuti non sono più solo da ottimizzare, ma da progettare in funzione dei prompt e delle risposte generate dai sistemi.
«La corsa al primo posto nei link blu sta perdendo significato. La nuova priorità è essere riconosciuti come fonti così autorevoli da venire citati direttamente dall’AI», spiega Giorgio Taverniti, Head of SEO & AI Tech di Search On. «E-E-A-T – esperienza, competenza, autorevolezza, affidabilità – non è più solo un fattore di ranking: è il requisito minimo per diventare una fonte credibile agli occhi dell’AI».
Allo stesso modo, le agenzie digitali sono chiamate a integrare gli agentic system nei propri processi interni: orchestratori capaci di automatizzare attività complesse e migliorare il rapporto tra tempo e valore prodotto. Un caso concreto di come gli agenti AI stiano già producendo risultati tangibili arriva da Alessio Pomaro, Head of AI presso Search On:
«Abbiamo sviluppato sistemi multi-agente per ottimizzare traduzioni su larga scala per l’e-commerce, come nel caso di un noto brand di abbigliamento e accessori motorsport, che ha visto un incremento del 100% dei clic organici».
Un altro esempio riguarda l’ambito editoriale:
«Abbiamo creato agenti in grado di monitorare i trend online, generare piani editoriali e ottimizzare i contenuti. Questo ha liberato il team redazionale dalle operazioni ripetitive, permettendo loro di concentrarsi su attività più strategiche».
Nel settore editoriale, l’AI ridisegna infatti le fasi di produzione dei contenuti: dall’ideazione alla distribuzione, passando per la verifica delle fonti e il rispetto delle policy.
E c’è un ulteriore fronte: quello delle competenze tecniche avanzate, necessarie per chi deve guidare team di sviluppo e integrazione di modelli generativi.
«Per creare tool interni basati su LLM non servono stack complessi», spiega Andrea Dragotta, Head of Development presso Search On. «Bastano un po’ di Python e l’uso di piattaforme come Google Colab. Ma quando si passa a progetti più avanzati, con database vettoriali per RAG o fine-tuning, servono stack tecnologici articolati e un’integrazione più sofisticata».

La formazione che serve ai manager
Questi scenari mostrano con chiarezza che non basta “provare” l’AI: serve un approccio metodico, basato su competenze verticali, casi d’uso concreti e confronto diretto con esperti. Per i manager, la formazione non può più essere generalista: deve toccare le implicazioni pratiche su SEO, adv, processi interni, governance e sicurezza dei dati.
Pomaro sottolinea l’importanza della capacità di leggere i workflow: «Gli agenti non sono singoli strumenti, ma parti di un sistema. Un Head of deve saper leggere i flussi di lavoro, riconoscere dove un agente porta reale valore e dove invece crea complessità inutile».
Un altro tema cruciale è la consapevolezza dei limiti: «Un buon Head of deve sapere fino a dove ci si può spingere con l’automazione, senza perdere il controllo e la qualità. L’AI non deve sostituire l’umano, ma potenziarlo», aggiunge Pomaro.
Ma non solo. L’intelligenza artificiale è oggi driver di crescita economica: chi la adotta in modo strutturato accelera produttività, innovazione e time-to-market. Allo stesso tempo, però, si tratta di una tecnologia che porta con sé nuove responsabilità, dal rispetto dei dati alla trasparenza degli algoritmi. Ecco perché la formazione in ambito AI non è solo necessaria, ma doverosa per i leader aziendali: per garantire un utilizzo efficace, competitivo ed etico.
«Non si tratta più di controllare ogni attività, ma di creare ecosistemi di crescita», osserva ancora Taverniti. «L’AI può gestire i livelli di validazione più semplici, liberando tempo per ciò che conta davvero: originalità, autorevolezza, sperimentazione. Il manager diventa mentore della qualità».
Una risposta nata dal settore
È in questo contesto che si inserisce l’Accademia di Search On, progettualità formativa che prosegue e rafforza il lavoro che l’azienda porta avanti da oltre 18 anni: diffondere cultura digitale e offrire strumenti concreti per far crescere l’intero settore.
I seminari non sono corsi generalisti, ma percorsi pensati e strutturati per le figure cardine delle aziende – Manager, Head of, Senior – chiamate oggi a guidare team e decisioni strategiche nell’era dell’AI. La formula, che prevede sessioni in presenza con posti limitati per ottimizzare la fruizione e la possibilità di rivedere le lezioni on demand, consente un apprendimento profondo e immediatamente applicabile.
La scelta dei docenti – professionisti e consulenti riconosciuti a livello nazionale – garantisce un approccio verticale e basato su casi reali: dalla governance degli agenti AI alla SEO potenziata dall’intelligenza artificiale, fino all’uso avanzato dei dati.
La responsabilità dei leader
La posta in gioco è alta. Non si tratta solo di adottare strumenti innovativi, ma di governare un cambiamento epocale. Chi guida team e aziende ha la responsabilità di non farsi trovare impreparato, trasformando l’AI da buzzword a reale leva di competitività internazionale.
«Il rischio di falsa efficienza riguarda chi non ha maturato esperienza. Pensare che bastino pochi prompt o formule pronte per fare SEO porterà a ripetere errori del passato», avverte Taverniti. «La verità è che, oggi come ieri, serve costruire siti fatti bene. L’AI può amplificare, ma non sostituire competenza e discernimento».
Un punto che Dragotta conferma sul piano tecnico: «L’errore più comune è credere che l’AI sia una scatola magica. In realtà la qualità dell’output dipende dal prompt iniziale e dalla capacità critica di valutarlo. Senza questi passaggi, anche il modello più avanzato produrrà risultati mediocri».
La formazione, oggi, non è un’opzione accessoria: è la condizione minima per esercitare leadership nel nuovo scenario digitale.
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